mercoledì 29 dicembre 2004


Capitolo Ventitreesimo. Tu lo conosci Dante?


Domani notte io, L. e S. lasciamo Torino alla volta del capoluogo toscano.
Sarà un viaggio di piacere, d'evasione o di cultura? Ci piacerà? Ci torneremo? Sarà un buon punto di partenza per il nuovo anno?
Al prossimo post l'ardua sentenza.

lunedì 27 dicembre 2004


Capitolo Ventiduesimo. Buon natale, dio maiale


Regalo speciale per questo Natale 2004.

Ore 00:30. Avvio di una serata semispenta nel solito locale che gode dalla mia presenza una volta al mese.

Ore 04:30. Alla cassa si scopre che manca il portafoglio di G. e le DrinkingCard mia e di L.: ammontare della perdita 80 euri.
G. esce con la sua Tessera di Anonima Alcolista ed i miei soldi, io e L. ci buttiamo sul Dj. Usciamo gratis, al pelo.

Ore 05:00. In una bianca e mattina torinese troviamo la mia macchina aperta e depredata.

Ore 05:01. Paura. Delirio. Rabbia. Urla. Lacrime. Hanno preso la mia sciarpa, l'ultimo ricordo che mi rimane di mia madre. Del resto non m'importa. PattumTour veloce, magari l'hanno buttata. Nada.

Ore 05:30. Rinsavisco piano piano, mentre la rabbia di chi aveva lasciato la roba nella mia macchina cresce, veloce veloce.
Si stila un elenco orale di ciò che manca, si organizza il tour per riaccompagnare a casa gli amici autosmuniti.

Ore 06:45. Io e G. ritorniamo sul luogo del delitto per un PattumTour più attento: raggio di azione tre isolati. Nada.

Ore 07:30. Accompagno G. a casa, torno a casa anch'io.

Ore 08:20. Mi infilo sotto le coperte: la mia sciarpa è irrimediabilmente persa.

Ore 13:00. Telefona G. L'hanno svegliata gli sbirri: hanno trovato la nostra roba, letto i nostri diari, rintracciato uno di noi. L'interrogano, l'accompagnano, sfottendola, a prendere il maltolto. Manca della roba, ma lei non sa ancora cosa. Chiedo della mia sciarpa: c'é. Torno a dormire.

Ore 16:00. Mi sveglio, chiamo G.: non vorrei fosse un sogno, ed infatti non lo è. Mi stila un elenco della roba, di mio non manca nulla, ma a F. è sparito il piumino e a G. il chiodo.

Ore 19:00. Riesco a rintracciare L. Non le hanno preso i CD, ma all'appello mancano un paio di pantaloni ed una maglia.

Ore 20:00. Sono di nuovo in possesso della mia roba e sono felice.

Ed oggi c'è stata la denuncia dai carabinieri, la visita in posta (ho bloccato la Carta di Credito), il meeting con l'assicuratore e il rendezvous con il carrozziere. Un'altra giornata d'oro.

Dimenticavo: tante angurie a tutti.

martedì 21 dicembre 2004


Capitolo Ventunesimo. Sessione settembre 2005


Tra i miei obiettivi mi ero dimenticata quello più istituzionale: la laurea!

Oggi ho avuto la tesi: un lavoro di ricerca su un linguaggio funzionale che devo studiarmi ex-novo. Un bello sbattone con stage da docici crediti (sei mesi di lavoro!) per creare un manuale del suddetto. Ma interessante. Maledettamente interessante. E la mia relatrice, poi, è uno spettacolo.

Sono entusiasta.

domenica 19 dicembre 2004


Capitolo Ventesimo. Nervosismo


Sono troppo nervosa, troppo.
Basta un niente a farmi scattare e quando parto non ce n'é per nessuno.
Lo sa bene L. che stasera, per un niente (perché proprio un niente c'era), si è buscato uno schiaffo. Una bella manata, tra l'altro.

Sto cercando di calmarmi, ma non ci riesco. Mangio poco, fumo e lavoro troppo e, causa prima secondo me, ho deciso di stare lontana dalla bottiglia, almeno per un po'.

Chiedo, indi, pubblicamente scusa a tutti. Un giorno saprò farmi perdonare. Spero.

venerdì 17 dicembre 2004


Capitolo Diciannovesimo. Ottimismo (Pillola)


Ho trovato una bella citazione di Cioran tratta da Al culmine della disperazione.

Mi sono imposta di leggerla quando mi sembra che tutto sia a merda e soprattutto quando penso a Lui e alla sua nuova fidanzata.
Ieri mi ha tirato un po' su. Chissà che non ci riesca ancora.


L'aspetto più singolare di coloro che soffrono è la convinzione dell'assolutezza del proprio dolore, che fa credere loro di detenerne il monopolio. Ho l'impressione di essere il solo a soffrire ed il solo ad averne diritto.


giovedì 16 dicembre 2004


Capitolo Diciottesimo. Feticcio


Anch'io, come tutti, ho il mio feticcio: la pubblicità.
La adoro, la seguo, riconosco, a colpo d'occhio, loghi e stili. Quando, anni fa, guardavo ancora la TV identificavo senza fallo tutti i jingle e, ancora oggi mi sorprendo a dire, per identificare un pezzo: "Sai, quello dell'Aperol, quello con la tipa rossa che balla sul bancone". E per me quel pezzo è esattamente quello: non non ne ho mai saputo né autore né titolo.

Ed oggi, mentre navigavo senza meta tra gli scaffali della biblioteca, ho trovato, grazie al mio intuito infallibile, un libro geniale: Pubblicità Canaglia, dell'Università del Progetto edito da Zelig. E' un libercolo (si legge in meno di un'ora) che non solo fa il verso alla pubblicità, ma mostra anche quello che la pubblicità ci ha fatto diventare: una massa di consumatori acritici, eterodiretti, assueffatti a tutto. Anche all'orrore.

Mi sa tanto che lo acquisterò: li sento 12 euri spesi bene.
Poi, magari, lo recensirò anche.

sabato 11 dicembre 2004


Capitolo Diciassettesimo. Friday, Dec 10 2004, 8pm EST


Questa sera le immagini di 10x10 mi stupiscono: per la prima volta da quando spulcio il tabellone è presente una parola positiva, peace, addirittura in seconda posizione, e nella top five compare anche un prodotto italiano: il bel Silvio nazionale.

Bastano un nobel ed un'assoluzione a portare una ventata di novità tra le immancabili iraq, military, election, soldiers, oil e quant'altro.

Dicono che questo sia un archivio utile per fotografare il mondo nel momento in cui è nato nostro figlio, così da fargli vedere cosa capitava nell'istante in cui vedeva la luce.
Tacciatemi anche di tradizionalismo, ma preferisco di gran lunga conservare, per ricordo, qualche bottiglia di buon vino da stappare nelle grandi occasioni, come fece mio padre per me, e suo padre, prima ancora, per lui. Decisamente più godibile.

mercoledì 8 dicembre 2004


Capitolo Sedicesimo. Mercoledì da leoni?


E' il primo mercoledì dopo mesi che non lavoro. Mi sembra irreale. Un mercoledì sera trascorso davanti al PC, a fare pulizia tra le missive ricevute negli ultimi giorni, un mercoledì ad ascoltare musica random, a mangiare con i miei, seduta a tavola.

Non che mi lamenti del mio lavoro, è il meno peggio che ho trovato negli ultimi cinque anni, anche se, in realtà, spesso esco con la precisa volontà d'uccidere qualcuno, cliente, titolare o collega che sia.
Meno male che esistono anche serate in cui sono soddisfatta, tipo quella in cui vengo pagata (mi spiace, ma non sudo per la gloria!).

Quello che distingue una buona serata dalle altre?
Uno degli avventori è stato veramente gentile (squisito, direbbe mia nonna) o ha lasciato una mancia particolarmente cospicua (da notare che, in Italia, l'abitudine di lasciare anche solo qualche monetina ai camerieri è più unica che rara), la collaborazione con i colleghi è stata particolarmente proficua (cioè: sono anche riuscita a fumarmi una sigaretta a metà serata o mi sono fatta delle grosse risate), in menù c'era qualche piatto sugoso, o comunque innovativo (mangiare sempre le stesse cose, quattro giorni alla settimana per mesi e mesi, dopo un po' rompe).

Le serate di merda, invece, sono caratterizzate da: titolare con ciclo, ovvero tutto quello che fai non va bene, clienti con il ciclo, ovvero io comando e tu ubbidisci, oppure colleghi con il ciclo, ovvero o non ho voglia di lavorare o io comando tu ubbidisci o tutto quello che fai non va bene.

Fortunatamente la maggior parte delle serate è composto da un buon mix delle diverse opzioni ed alla fine risultano accettabili.

Comunque mi pare strano un mercoledì senza lavorare. Ed infatti, invece di essere da qualche parte a divertirmi, sono qui a parlare di lavoro.
Ho bisogno di una cura disintossicante: quando arrivano le vacanze?

lunedì 6 dicembre 2004


Capitolo Quindicesimo. Chi s'accontenta gode


Ieri sera io e Lui ci siamo fatti quattro chiacchiere sui libri che mi ha lasciato ed oggi L. mi ha chiamato per dirmi che l'hanno contattata per un lavoro: un progetto sembra prendere corpo.

Se non avessi il raffreddore ed un esame da preparare per venerdì sarebbe tutto perfetto.

Incrocio le dita.

sabato 4 dicembre 2004


Diario di un killer sentimentale, Luis Sepúlveda


Sette giorni, cinque città, settantatre pagine con tanto di colpo di scena finale. Questi i numeri del piccolo capolavoro noir di Sepúlveda.

La storia è semplice: lui è un killer professionista di circa 45 anni che riesce a descrivere gli ultimi quindici anni della sua vita con tre verbi: "Arrivo, ammazzo e me ne vado", uno stakanovista del delitto su commissione, insomma. Preciso pulito ed affidabile. Sino a che non incontra lei: la Gran Figa Francese, che lo costringe, suo malgrado, ad aderire ad uno stile di vita decisamente boghese, violando buona parte dei suoi precetti professionali. Fortunatamente era un'intellettuale "e come tutte le intellettuali era abbastanza ingenua da bersi qualunque storia", per cui il Nostro non fa alcuna fatica a convincerla che è il rappresentante di una società aereonautica e perciò deve viaggiare molto.

Fino qui tutto bene, sembrerebbe, peccato che il romanzo si apra su una giornata di merda.
Il nostro uomo è a Madrid dove riceve il suo nuovo Incarico, quello che sembra essere un messicano filantropo, ed un fax della sua francesina, in cui la Gran Figa lo rende partecipe della sua nuova condizione di ex.
Al killer non resta che chiamare una giovane mulatta "per dar sollievo al corpo" e ordinare una bottiglia di whisky, che resterà intatta: il lavoro innanzi tutto. Perché? primo "anche se cornuto un professionista è sempre un professionista", secondo "la ricompensa ha sei zeri sulla destra ed è esentasse"

Da vero professionista riesce, in meno di un giorno, a localizzare il suo Incarico: Istabul. Ed è in Turchia che il nostro killer compie gli errori più gravi, che pagherà con il pensionamento anticipato: questo sarà il suo ultimo incarico. Ed è stato fortunato: nel suo mestiere "non si finisce la carriera con prepensionamenti, ma con certificati di morte".

Il viaggio continua, tra tassisti e puttane: da Istabul a Francoforte, da qui a Parigi, sino a Città del Messico, dove la vicenda si conclude, sempre con il pensiero fisso alla Gran Figa, in preda ad una malsana e poco professionale curiosità per i retroscena dell'incarico, con l'unico appoggio di un alter ego che compare da ogni superficie riflettente.

Riuscirà il killer a terminare il suo incarico, scarificando i sentimentalismi? Tornerà a seguire la sua ferrea logica professionale e la ragione economica?


Lo stile è quello a cui Sepúlveda ci ha abituato, leggero e fluido, solo un po' più ironico e veloce. Il linguaggio, che ricorda quello di Heminggway, a cui il cileno dice di ispirarsi, è conciso ed essenziale, esattamente come deve essere la vita di un assassino professionista: pratica e veloce.


Un romanzo breve a cui, però, non manca nulla di ciò che contraddistingue il genere noir: assassini e omicidi, droga e trafficanti, amore e tradimento, suspence e colpi di scena.

Un'ennesima prova d'autore ben riuscita, forse anche perché il narratore ha vissuto parte della vicenda sulla propria pelle: il romanzo nasce, infatti, a seguito di una delusione d'amore. "Dato che a lei", confessa Sepúlveda, "alla responsabile in carne e ossa di quella delusione, non potevo augurare nulla di male, ho voluto prendermi una rivincita, almeno letteraria. È uno dei piccoli lussi che può permettersi uno scrittore. Certo, se fossi stato un ingegnere che costruiva ponti, immaginatevi la tragedia. Invece, per fortuna, scrivo libri. Il Diario è nato così, da quella voglia di rivincita. Però poi, quando ne avevo già scritto un bel pezzo, quella voglia mi è passata. Il personaggio ha iniziato a piacermi, a coinvolgermi. Come me, aveva giocato a fare il pigmalione, un errore che non si dovrebbe mai commettere. Alla fine, il romanzo racchiude una riflessione su una solitudine molto tragica: quella dell'uomo attorno ai cinquant'anni, assalito da mille nuove paure, con il bilancio della propria vita ormai da tracciare e la morte che si fa più vicina".

Un libro ben scritto, veloce, da leggere mentre si aspetta il pullman o in qualche studio medico o quando si ha un'oretta libera da trascorrere in maniera diversa.

Luis Sepúlveda
Diario di un killer sentimentale
Guanda

venerdì 3 dicembre 2004


Capitolo Quattordicesimo. Anche la polemica è disciplina olimpica


Diciasette kilometri in venticinque minuti, per una media di quarantavirgolaotto kilometri orari.

Neve & Gliz Decisamente buono visto che per gli ultimi due kilometri ho utilizzato ben dieci minuti. Praticamente la stessa velocità che impiega mia nonna per andare a messa la domenica.

Grazie Neve, grazie Gliz.


Vuoi vedere altre immagini delle due Mascotte Olimpiche?

giovedì 2 dicembre 2004


Capitolo Tredicesimo. Pulizia Profonda


Non ho neppure più voglia di fare l'amore.
Voglio soltanto baciare qualcuno con delicatezza e con passione. Uno di quei baci da film, uno di quelli che a Lui non ho mai dato: si era troppo sensuali noi.

Forse, dopo, mi verrà voglia di fare l'amore.
Piano, pianissimo, così lenti da star male. Come quando sei sporco e impieghi ore a lavarti e tutto quel tempo non ti sembra ancora abbastanza.

Vorrei lavarmi l'anima.


Se qualcuno si stesse chiedendo perché non spreco neppure una parola per la Giornata Mondiale contro L'AIDS o per lo Sciopero Generale, beh, sappiate che il motivo è semplice: credo che siano già state buttate via abbastanza parole e utilizzata abbastanza retorica. Non è più tempo di parlare: bisogna agire.