martedì 27 ottobre 2009


Capitolo Trecentoventisettesimo. Il tempo viene per tutti

Nonostante possa scegliere tra due balconi, la sigaretta serale la consumo sempre in quello di servizio, più grande, che si affaccia sul balcone interno.
Raramente, però, opto per il balcone esterno, così piccolo da contenermi a fatica, ma che offre una discreta vista sulla collina e sulla piazza antistante.

Da questo secondo piccolo balcone riesco a scorgere anche Wilma, che sonnecchia non troppo tranquilla, legata rigidamente alla sua catena.
La vedo distante, come la percepisco in questi ultimi giorni.
Mi sembra quasi di scorgere le macchine di ruggine che ne intaccano il telaio, il freno leggermente consumato, il parafanghi tristemente ciondolante dopo l'ultima bravata del violentatore di turno, il cestino ormai da buttare.

Penso alle cavalcate per l'Angusta Taurinorum, gli slalom tra traffico e smog, le luci lampeggianti nella penombra notturna.
Sento nelle orecchie i suoi rumori: quelli che una volta erano grida festose di incoraggiamento, inciti a non fermarsi mai, a proseguire senza sosta, e che ora si sono trasformati in lamenti di stanchezza, moniti a rallentare, ad implorare, a tratti, brevi pause per un necessario riposo.
Percepisco tra le mani il fremere dei manubri, prima cavallo imbizzarrito da tenere a freno, ora tremito di vecchio, che non riesce a non sussultare davanti agli orrori della vita.

Penso a Wilma, la bici fedele che è riuscita a guadagnarsi un nome, le sento vecchia, sento il respiro pesante del tisico che se ne sta andando. Ogni mattina quando scendo temo di non trovarla più. Immagino che come un animale devoto e discreto sia andata a spirare lontano, ad evitarmi il dolore nel vederla incapace di svolgere il proprio lavoro: inutile e perciò senza vita.

Ma forse penso solo a mio padre, già vecchio, e a me, che sono da fin troppo tempo donna.