lunedì 12 ottobre 2009


Capitolo Trecentoventiduesimo. Quella volta che attraversai Genova


C'è stato un periodo della mia vita in cui attraversavo la Liguria per vezzo, non affezionandomi a nessun luogo, se non a quella roulotte ad Albenga e a quell'angolo di spiaggia, alla foce e al molo, dove sventravamo piccoli pesci per ridicoli fritti.

Una volta, in questi spostamenti, mi trovai con l'amica G. a ponente di Genova, in un disperato tentativo di raggiungere La Spezia. Condividevamo una sveglia all'alba e un buon centinaio di chilometri, qualcuno camminato, molti di più trasportate.
Lì ci caricò un ragazzo ligure, studiava fisica in città. Doveva avere pochi anni in più di me, ma mi sembrò molto più grande. Si chiamava forse Alberto, o Andrea, aveva capelli castani, occhi chiari e uno sguardo sicuro. Ci caricò senza fare domande e si mise a parlare.
Mentre entravamo nell'autostrada che buca Genova ci racconto di sé, dei suoi studi, di quanto fosse bello finire lezione e poi fare il bagno, asciugarsi a malapena sotto un sole che moriva in una spiaggia pietrosa e finalmente deserta.
Poi ci chiese di noi, se eravamo mai state a Genova.
G. era insolitamente silenziosa e toccò a me rispondere. Parlai di quella volta che visitai l'acquario e che mi persi nell'intrico di viuzze per ritrovarmi in stazione.
Mi chiese cosa stavo cercando. Nulla. Ribatté che il nulla non esisteva. Dissi che cercavo Via del Campo, volevo vedere se il paradiso fosse ancora al primo piano.
Mentivo, era chiaro. Non cercavo nulla, sul serio.
Diventò torvo per un attimo, si chiese forse se mi stessi burlando di lui. Poi si distese ed inizio a cantare. Cantò una strofa di Via del Campo con una voce così triste che mi si strinse il cuore. Glielo dissi.
Mi chiese quale fosse la mia preferita e mi accennò Inverno. Poi, ne cantò un'altra e gli chiesi se fosse la sua preferita. Non lo era. Ne citò altre, ed io mi accodai a lui: una voce sussurrata e stonata.

Attraversavamo Genova a passo d'uomo, in una coda che credevo non si sarebbe esaurita mai, che desideravo non si esaurisse mai.

Mi chiese se avessi visto la chitarra di De André. Dissi di no.

Poco dopo lasciammo l'autostrada. Fermò la macchina, indicò una via. Era Via del Campo. Mi diede le indicazioni per raggiungere il negozio dove era esposta la chitarra: Così questa volta non ti perderai, aggiunse.
Io e G. scendemmo.

Fu un breve pellegrinaggio ateo e atono, fu il calore di un momento, poi di nuovo verso il vento.