lunedì 23 febbraio 2009


Capitolo Duecentonovantesimo. La parabola del dentifricio


Commedia in un unico atto

CUCINA. Rumore di piatti, di cibo che sfrigola, di pentolame che borbotta. In scena tre personaggi: due uomini, uno molto giovane, B., l'altro un poco più maturo, M., ed una giovane donna, A.

B (rivolgendosi alla giovane) Hai un ristorante da consiglirmi?
A Diversi, per che occasione?
B (sul vago) Una cerimonia
A Sì, uno. (seria) Hai intenziona di invitarmi al tuo matrimonio?
B (ignorando la domanda) Come si chiama?
A (sempre seria) Dipende dalla risposta.
B A quale domanda?
A Quella di prima
B No.
A (scherzando) Niente invito, niente ristorante.
B (imbarazzato) Ma come faccio ad invitarti?
A Ti inviti a cena a tua volta e porti la busta.

Ancora rumore di cucina, i tre continuano con i loro mestieri, ignorando la conversazione di poco prima

A (borbotta qualcosa, rivolta verso il giovane)
B E cos'è?
A Il nome del ristorante (qualche istante di silenzio, assorto). Ti stai allenando?
B Per cosa?
A La prova di resistenza.
B (guarda la donna, senza capire)
A Sai quante ore dura la cerimonia?
B Non c'è il rito abbreviato?
A Solo se confessi, ma dubito che la tua indole siciliana te lo consenta
B (sospirando) Sarà dura, (alza il braccio al cielo) ma sono stato io a voler chiedere l'autorizzazione direttamente al Titolare.
A Sei cresimato?
B No, ma la prassi prevede il processo per direttissima, quindi me la cavo con poco.

Il secondo uomo, che sino ad adesso ha solo ascoltato, e che è l'unico ad indossare la fede, si fa avanti, tralasciando le faccende che lo avano impegnato sino ad allora

M Direttissima, non proprio: e il corso pre-matrimoniale?
B (sospira) Cosa ti insegnano?

L'uomo maturo, misterioso guarda la giovane, sorride sornione e si rimmerge, criptico, nel lavoro da cui, per poco, si era distratto.

B (curioso) Cosa ti insegnano?

La ragazza guarda l'uomo a sua volta e sorride, saccente.

B (stizzito) Cosa ti insegnano?
A (come se si trattasse del quarto segreto di Fatima) La parabola del dentifricio.

Silenzio improvviso. Ogni singolo oggetto della cucina sembra in attesa di conoscere questa trentottesima parabola, ma la donna esce di scena.

B (guardando l'uomo) Qual è la parabola del dentifricio?
M (distaccato) Non te la posso svelare, non sei sposato.
B Ma lei la conosce.
M Lei sarà una donna disonesta, ma certe cose già le ha sperimentate, ed è giusto che sappia.

Ancora silenzio, anche l'uomo più giovane ricomicia il lavoro da dove l'aveva lasciato

M (sottovoce senza smettere di lavorare e senza alzare lo sguardo, come se la raccontasse a sé stesso, ma in modo che anche l'altro senta) In una piccola casa viveva una coppia di neo-sposi, che condivideva lo stesso tubetto di dentifricio. L'uomo lo pigiava dal centro, la donna, invece, lo arrotolava dal fondo. Per molti giorni i due procedettero ognuno con il proprio sistema, sino a che, accapigliandosi, non si uccisero soffocandosi con la tenda della doccia.

La donna rientra in scena

B Ma è una storia crudele. Non è inutile uccidersi per una cosa banale come il dentifricio?
A E' per questo che noi abbiamo due tubetti separati.

Casina - Portaspazzolino


Questa opera è liberamente ispirata ad una storia vera.
Per la sua messa in scena alcun dentifricio è stato maltrattato.



lunedì 16 febbraio 2009


Capitolo Duecentottantanovesimo. In principio fu la Mulino Bianco


Erano ormai dieci giorni che meditavo di preparare un dolce. L'indecisione mi faceva barcamenare tra la torta di riso, ricetta che appresi a Bologna, e la crostata con marmellata di arance e cioccolato fondente. Non sapevo scegliere è già il fatto che non mi fosse mai passato per la testa di prepararle entrambe avrebbe dovuto farmi riflettere.

Stamani, parlando con la mia collega nonché amica E., cademmo sul discorso tegolini&crostatine, un classico per chi, come noi, ha trascorso la propria infanzia negli anni '80. Qui si formò nella mia mente il malaugurato pensiero e l'ago della bilancia pendette, inesorabile, verso una sola delle due possibilità, ma con una piccola variante: una crostata grande, da portare in ufficio, più un paio piccole, da sbafarmi con il non. Qui, forse, fu il peccato, l'hýbris maledetta, che mi ispirò come sostituta del dio Mulino Bianco.

Inziai a preparare la frolla, ignorando, ingenua, che non assomigliavo affatto alla mamma della famiglia Mulino Bianco, quella che sforna le Nastrine al mattino, le morbide briochine che, miracolosamente, si materializzano nottetempo all'interno del fornetto disegnato da Giugiaro in persona appositamente per quell'unico, catartico, gesto. Non assomigliavo alla mamma della famiglia Mulino Bianco per dei piccoli insignificanti dettagli, ma che avrei comunque dovuto notare: non ho figli, non abito in riva ad un ruscello, all'interno di un mulino che viene ridipinto bisettimanalmente e non mi sveglio la mattina con il pigiama stirato, la piega fatta, il trucco impeccabile e di buonumore. Inoltre il non quando si sveglia al mattino non addenta la Nastrina e ringrazia, ma ringhia, mentre si prepara per andare a lavoro. Le differenze erano lievi, ma avrebbero comunque dovuto farmi riflettere.

Ritornando alla pasta frolla mi cimentai con la ricetta B., quella provata e riprovata, quella che mi avrebbe assicurato un risultato impeccabile, ma, di nuovo, un particolare mi sfugii: le dosi erano per due crostate. Anche questo avrebbe dovuto farmi riflettere, ma io, innocentemente pensai ad un colpo di fortuna: Già che è fatta la congelo, superbia, di nuovo.

Continuai con quei gesti atavici: lasciar riposare l'impasto, tirarlo, foderare con esso lo stampo e gli stampini, depositarli nel forno. Continuai, ignorando ancora i presagi: la corrente che saltava, la cioccolata che non si trovava e che poi risultava essere meno di quella che ricodassi. Ma era troppo tardi: solo ora mi accorgevo dell'esagerazione del mio gesto. Volevo sostituirmi al dio Mulino Bianco e sicuramente non sarei stata inpunita.

Infatti, dopo venti minuti di cottura, mentre estraevo lo stampo grande, questo si rovesciò sul piano di lavoro, sgretolandosi, Il mio grido di dolore, sconfitta e pentimento salì sino al cielo, dove il sole che regna sovrano sul mulino di cui sopra sghignazzava beffardo.

Crostatine al cioccolato fondente e granella di nocciole Urla e imprecazioni. Se domani la signora Mulino Bianco non riescirà ad allontanarsi dal candido cesso dell'impeccabile mulino saprà chi ringraziare.

Il segreto, però, sta nel non perdersi d'animo: fusi a bagnomaria quel poco cioccolato che avevo, riempii gli stampini, salvi, e li rimisi in forno, insieme ai pezzi della crostata fallita: sarebbero diventati ottimi biscotti. E mentre crostatine e biscotti cuocevano, pestai e tostai le nocciole, pensando a te signora Mulino Bianco: anche se mi sveglio che non sono mai sveglia, con gli occhi gonfi ed impastrocciati, con una pettinatura che farebbe sbavare Morgan, anche se non trovo le briochine già calde nel fornetto, soprattutto perché non ho un fornetto, e anche se vivo al quinto piano senza ascensore e non in un bed and breakfastt nei capi elisi, signora Mulino Bianco vada un po' a fanculo, che le crostatine le so fare anche io.

domenica 15 febbraio 2009


Capitolo Duecentottantottesimo. Due cuori e una capanna



Palloncini a casina



sabato 7 febbraio 2009


Capitolo Duecentottantasettesimo. Bologna, giorno 7


Sottotitolo: quando una immagine vale più di cento parole.

Carpisa e il resto della mercanzia - In partenza


venerdì 6 febbraio 2009


Capitolo Duecentottantaseiesimo. Bologna, giorno 6


Riempio i polmoni con un respiro profondo, poi espiro, decisa, svuotandoli. Quello che ne esce è un sospiro, soddisfatto. Al quale segue un sorriso, beffardo. Al quale segue uno sbadiglio, rilassato. Al quale non segue più nulla.

giovedì 5 febbraio 2009


Capitolo Duecentottantacinquesimo. Bologna, giorno 5


Bologna - San Petronio Le giornate avanzano l'una simile all'altra: colazione, lezione, spuntino, lezione, pranzo, lezione, merenda, lezione, aperitivo, lezione-revisione.
Si vive come in un convento benedettino deviato, dove tutti spremono le meningi e sollecitano le mandibole, ede et cogita, il credo.

Le giornate avanzano, ed ora, che il tempo sta per finire, i sentimenti si scontrano: restare per continuare ad imparare, tornare, per ritrovare l'amare.
Bologna - Santo StefanoL'intelletto si scontra con il cuore e, mentre la fatica della mente stimola nostalgie, i pensieri s'incupiscono, come il cielo, che dal sole vira alla pioggia e viceversa.

Però qualche fuga c'è stata a questo rigore: le passeggiate per Bologna, le foto, le telefonate, i pensieri, i libri.
E non è ancora finita.

mercoledì 4 febbraio 2009


Capitolo Duecentottantaquattresimo. Bologna, giorno 4


Mentre ripenso alle mangiate di questi giorni, ai cannelloni e alle lasagne, agli involtini di bresaola e caprino, ai salumi e ai formaggi, alle insalate miste di tutto, dalle mozzarelle al tonno, dai carciofi ai prosciutti, alle torte di mele e pinoli, alle paste, ai biscotti, alle brioche, alle bruschette e alle pizzette, mentre mi preparo per la cena, mentre cerco di digerire il pranzo, mentre queste cose si accavallano una sola frase attanaglia la mia mente: se non mangi non puoi morire...

martedì 3 febbraio 2009


Capitolo Duecentoottantatreesimo. Bologna, giorno 3


Antefatto.

- Amore, domani parti, non volevi cambiare la tariffa Tim?
- Non non ce n'è più bisogno.
- Perché?
- Ho attivato un'offerta in cui, pagando un euro, per tutta la settimana chiamo tutti i Tim con trenta centesimi al giorno.
- Bene.
- Ho cento minuti a disposizione ogni giorno.
- Non li vorrai consumare tutti?

lunedì 2 febbraio 2009


Capitolo Duecentottantadusesimo. Bologna, giorno 2


La stanza
Da ieri sono cambiate molte cose: ha smesso di nevicare e sono riuscita ad aprire le finestre. Meglio la seconda della prima, anche perché ora piove a catinelle. Inoltre, sono stata in grado di capire una persona che parla in una lingua diversa dalla mia (l'inglese) anche da sobria e ho mangiato sino a creparmi la pancia. Di nuovo meglio la seconda della prima, perché, alla fine, alle soddisfazioni intelletuali preferisco sempre quelle materiali.

Direi che si inizia a ragionare.

domenica 1 febbraio 2009


Capitolo Duecentoottantunesimo. Bologna, giorno 1


Sottotitolo: storia di una ordinaria partenza e di un altrettanto ordinario arrivo.

Ore 9.00: suona la sveglia, ho il treno alle 11.59, la valigia è pronta dal giorno prima, pensavo di fare colazione al bar, quindi me la sono presa comoda.
Ore 10.00: friggo già da un'ora, tenendo conto che a prepararmi ci ho messo dieci minuti. Guardare nevicare mi tiene impegnata, ma mi fa rischiare l'abbiocco.
Carpisa - La valigia compagna di viaggioOre 11.00: io ed il non saliamo in macchina, destinazione Lingotto, un po' peggio del paradiso. Cappuccio e brioche con marmellata, il tipo di fianco a noi caffè e doppia Vecchia. Forse ha ragione lui.
Ore 11.30: sono dieci minuti che siamo sul binario, se continuiamo ad abbracciarci non è solo per colmare la malinconia della partenza, ma anche per evitare l'assideramento.
Ore 12.00: salgo sul treno, il non mi lancia Carpisa, la mia compagna di viaggio verde acido fosforescente, l'unica con la quale si fidi a lasciarmi. Azzecchiamo la carrozza, cerco il mio posto, il 102, il biglietto afferma corridoio: pensavo che fosse dal lato del corridoio, non in mezzo...
Ore 13.00: leggo un po': un articolo, qualche pagina di romanzo. Osservo la gente attorno a me: facce simili, divise uguali, statali o meno che siano, cuffiette, libro o entrambi, rivista più o meno intellettuale, panino farcito a casa. Mangio anche io. Getto un occhio dal finestrino: sembra sempre di essere a Pinerolo o a Cuneo, ma i cartelli dicono Voghera, città delle casalinghe, o Parma.
Ore 14.00: cerco la cartina che ho stampato qualche giorno prima, non la trovo. Recupero solo la brutta copia, quella che indica come arrivare in piazza Maggiore dalla stazione Centrale, percorso che saprei fare anche senza. In basso le indicazioni stradali tagliate: anzie - 0,66km - 0,33km: ora mi sento più tranquilla.
Ore 15.30: arrivo a Bologna, nevica come se piovesse. Chiamo il non, gli dico che sono senza cartina, mi informa che il Toro pareggia. Mai una buona notizia.
Ore 15.45: sono in piazza Maggiore, giro a vuoto aspettando l'illuminazione e chiedendo ai passanti. Qui sono più gentili che a Torino: invece di dirti che non sono di qui confessano che non l'ho mai sentita, sta via.
Bologna - Torre GarisendaOre 16.15: trovo l'illuminazione, il cartello di Piazza delle Mercanzie, coincide con una parte della mappa: sono nel centro di un cerchio la cui circonferenza contiene il tesoro. Ed il raggio è solo cento metri.
Ore 16.30: ho percorso circa mille metri, quando incrocio una passante che conosce la via, il gioco è fatto, arrivo a destinazione.
Ore 16.35: la camera è vuota, pulita e senza finestre. La mia claustrofobia è finalmente appagata. Chiamo il non, non si sa nulla del Toro, ma è felice che io ce l'abbia fatta. Non so perché, ma mi sistemo velocemente ed esco, cerco un posto dove mangiare.
Ore 18.30: giro da quasi un'ora, Bologna sarà anche una città ggiovane, ma io non ho trovato nulla. Torno mesta in collegio, quando a cinquanta metri dalla meta scorgo una pizza al taglio. Ci sono passata davanti solo tre volte. Mangio, torno in stanza.
Ore 20.00: chiamo il non. Il Toro ha pareggiato e io sono presa da un senso di mestizia che non mi è famigliare.