lunedì 16 febbraio 2009


Capitolo Duecentottantanovesimo. In principio fu la Mulino Bianco


Erano ormai dieci giorni che meditavo di preparare un dolce. L'indecisione mi faceva barcamenare tra la torta di riso, ricetta che appresi a Bologna, e la crostata con marmellata di arance e cioccolato fondente. Non sapevo scegliere è già il fatto che non mi fosse mai passato per la testa di prepararle entrambe avrebbe dovuto farmi riflettere.

Stamani, parlando con la mia collega nonché amica E., cademmo sul discorso tegolini&crostatine, un classico per chi, come noi, ha trascorso la propria infanzia negli anni '80. Qui si formò nella mia mente il malaugurato pensiero e l'ago della bilancia pendette, inesorabile, verso una sola delle due possibilità, ma con una piccola variante: una crostata grande, da portare in ufficio, più un paio piccole, da sbafarmi con il non. Qui, forse, fu il peccato, l'hýbris maledetta, che mi ispirò come sostituta del dio Mulino Bianco.

Inziai a preparare la frolla, ignorando, ingenua, che non assomigliavo affatto alla mamma della famiglia Mulino Bianco, quella che sforna le Nastrine al mattino, le morbide briochine che, miracolosamente, si materializzano nottetempo all'interno del fornetto disegnato da Giugiaro in persona appositamente per quell'unico, catartico, gesto. Non assomigliavo alla mamma della famiglia Mulino Bianco per dei piccoli insignificanti dettagli, ma che avrei comunque dovuto notare: non ho figli, non abito in riva ad un ruscello, all'interno di un mulino che viene ridipinto bisettimanalmente e non mi sveglio la mattina con il pigiama stirato, la piega fatta, il trucco impeccabile e di buonumore. Inoltre il non quando si sveglia al mattino non addenta la Nastrina e ringrazia, ma ringhia, mentre si prepara per andare a lavoro. Le differenze erano lievi, ma avrebbero comunque dovuto farmi riflettere.

Ritornando alla pasta frolla mi cimentai con la ricetta B., quella provata e riprovata, quella che mi avrebbe assicurato un risultato impeccabile, ma, di nuovo, un particolare mi sfugii: le dosi erano per due crostate. Anche questo avrebbe dovuto farmi riflettere, ma io, innocentemente pensai ad un colpo di fortuna: Già che è fatta la congelo, superbia, di nuovo.

Continuai con quei gesti atavici: lasciar riposare l'impasto, tirarlo, foderare con esso lo stampo e gli stampini, depositarli nel forno. Continuai, ignorando ancora i presagi: la corrente che saltava, la cioccolata che non si trovava e che poi risultava essere meno di quella che ricodassi. Ma era troppo tardi: solo ora mi accorgevo dell'esagerazione del mio gesto. Volevo sostituirmi al dio Mulino Bianco e sicuramente non sarei stata inpunita.

Infatti, dopo venti minuti di cottura, mentre estraevo lo stampo grande, questo si rovesciò sul piano di lavoro, sgretolandosi, Il mio grido di dolore, sconfitta e pentimento salì sino al cielo, dove il sole che regna sovrano sul mulino di cui sopra sghignazzava beffardo.

Crostatine al cioccolato fondente e granella di nocciole Urla e imprecazioni. Se domani la signora Mulino Bianco non riescirà ad allontanarsi dal candido cesso dell'impeccabile mulino saprà chi ringraziare.

Il segreto, però, sta nel non perdersi d'animo: fusi a bagnomaria quel poco cioccolato che avevo, riempii gli stampini, salvi, e li rimisi in forno, insieme ai pezzi della crostata fallita: sarebbero diventati ottimi biscotti. E mentre crostatine e biscotti cuocevano, pestai e tostai le nocciole, pensando a te signora Mulino Bianco: anche se mi sveglio che non sono mai sveglia, con gli occhi gonfi ed impastrocciati, con una pettinatura che farebbe sbavare Morgan, anche se non trovo le briochine già calde nel fornetto, soprattutto perché non ho un fornetto, e anche se vivo al quinto piano senza ascensore e non in un bed and breakfastt nei capi elisi, signora Mulino Bianco vada un po' a fanculo, che le crostatine le so fare anche io.

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