domenica 8 luglio 2007


Capitolo Centonovantaquattresimo. Afa esistenziale


Non tollero più nessuno.
Malsopporto quasi ogni persona, l'unico a casa a cui rivolgerei la parola è il gatto, non posso più vedere coinquilini e colleghi di lavoro.
Mi irrita la loro presenza ingombrante e parassitaria, il loro menenfreghismo, la loro scarsa voglia di fare, inventare o inventarsi. Sembra che mi si appiccichino addosso con i loro discorsi qualunquisti, che mi succhino il sangue, mentre nascosti nell'ombra osservano il lavoro da fare, ma lasciano che sia qualcun altro a farlo.
Rubano l'aria, mi tolgono la voglia di fare a mia volta, come se si appendessero ai vestiti con le loro mani ingrassate, diventando un peso per i miei movimenti, ed io, piuttosto che trascinarli, mi fermassi a marcire con loro. Mi esasperano perché ogni mio sprone diventa una burla e la situazione non si sblocca, e puzza e questo fetore e questa immobilità mi fanno star male e mi chiudono. Inizio a provare rancore.

In questo periodo malsano persino il non inizia a rimanermi un po' tra capo e collo, con i suoi vizi che non vuole smettere smettere mai e la sua eterna voglia di strafare, con il suo sbagliare, pentirsi, ma senza redimersi nella speranza che l'affetto valga qualsiasi altro.

Domani proverò a cercare asilo in facoltà, gli unici che paio ancora tollerare sono i compagni di corso, sarà che sono due settimane che né li sento, né li vedo.

Non sia mai che questo senso di sporco e appiccicaticcio che mi lascia il contatto con gli altri svanisca.