domenica 17 ottobre 2004


Kitchen, Banana Yoshimoto


Dicono che Banana Yoshimoto sia la grande rivelazione del sol levante, dicono che lei disegni, che scriva come in un manga. E' vero. Dannatamente vero.
Mikage, giapponesissima studentessa, non riesci a immaginarla bassetta con gli occhi a mandorla: è la ragazza filiforme dai grossi occhi castani dell'ultimo fumetto nipponico.
Anche Yuichi, Eriko, Satsuki, Hitoshi, Hiiragi... sono più che parole: sono anime.
E le parole sono anche colori: i cieli tersi, le giornate nevose, gli alberi del parco, il bicchiere trasparente di the che filtra quella brillante luce verde. Vedi quello che leggi. Ed è bellissimo.


In Kitchen, come in ogni manga che si rispetti, la trama è assurda, quasi inverosimile, curiosa. Magnetica. Cos'altro aspettarsi, in fondo da un libro che inizia con: "Non c'é posto al mondo che io ami più della cucina"?

E' in cucina che incontriamo per la prima volta Mikage, ventenne voce narrante, orfana dei genitori a cui restava solo più una nonna. Restava, perché ora anche la nonna è morta: Mikage è sola.
Forse. In un lampo compaiono Yuichi e sua madre (o padre?) Eriko, due perfetti sconosciuti e Mikage, in quattro e quatt'otto, va a vivere a casa loro, nella loro bellissima e modernissima cucina.

Ma quella non è la sua vera famiglia: Mikage, alla fine della prima parte (quella che da il titolo al libro) andrà a vivere sola, non senza aver segnato la propria vita e quella dei suoi ospiti.

La morte, che ha aperto la prima parte, sarà anche il motore della seconda (Plenilunio. Kitchen2).
Il dolore di una definitiva separazione, che già aveva fatto incontrare Mikaghe e Yuichi, li avvicinerà nuovamente, complici anche una notte di plenilunio ed una porzione di katsudon, tipico piatto giapponese.


Dopo il "doppio racconto" il libro prosegue con un terzo testo, Moonlight Shadow, tesi di laurea dell'autrice.
Condito anch'esso con una buona dose "mangana" di assurdità ed esoterismo, il racconto ha come protagonisti due ragazzi legati da un lutto comune: Satsuki, la narratrice, e Hiiragi. In un incidente d'auto hanno visto morire Hitoshi, fidanzato dell'una e fratello dell'altro e Yumico, la ragazza di Hiiragi.

Nessuno dei due riesce a superare il trauma della separazione: Satsuki ogni mattina va a fare jogging sul ponte che era stato il suo luogo d'incontro con Hitoshi e Hiiragi continua a portare la divisa alla marinara che era stata di Yumiko.

Sarà l'intervento di Urara, misteriosa figura comparsa chissà come, a sbloccare la situazione: grazie ad un evento che si ripete solo ogni cento anni, a patto che ci siano le condizioni giuste, riuscirà a far accettare ai due ragazzi la morte dei loro cari.


Yoshimoto tocca un tema che è un po' un tabù: quello della separazione definitiva, del senso di vuoto che lascia la perdita di una persona cara, magari il nostro ultimo appiglio con il passato, con la nostra storia famigliare ("Anche quando ero pazzamente innamorata, o allegra per aver bevuto molto, dentro di me avevo sempre la consapevolezza che tutta la mia famiglia era una persona sola").

Perdita che si avverte anche guardando la cucina, simbolo moderno del focolare domestico e, per estensione, della famiglia.
La cucina, per Mikage, rappresenta un ricordo, pregna, ancora, della carica affettiva che le avevano attribuito.

Per Satsuki, invece, la perdita si focalizza su un ponte e si esorcizza in un preciso rito mattutino: "Mi fermavo sempre in un punto dove non c'era mai nessuno e, circondata dal rumore dell'acqua mi riposavo e bevevo piano il tè bollente dalla borraccia. [...] Non era per masochismo: perché senza quel momento non avrei avuto la forza per affrontare il resto della giornata. Quel passaggio era diventato per me assolutamente necessario".

Per Hiiragi, invece, Yumiko vive ancora in quella buffa divisa alla marinara: blusa e gonnellino, ancor più buffa se a portarla e un diciottenne ("La divisa alla marinara che Hiiragi indossava era un ricordo di Yumiko. Lei la metteva sempre per andare a scuola, benché al suo liceo non usassero uniformi. A Yumiko la divisa piaceva").

Bisogna, però, rendersi conto che tutti questi sono solo surrogati, che conservano, però, uno strano, malefico, potere.
Mikage e Hiiragi, e quindi Yoshimoto, lo sanno bene: "Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po' meglio che pensare che sono rimasta proprio sola", "Una volta gli chiesi se l'indossasse per ragioni sentimentali. 'No, non è per quello, disse, i morti non tornano, e un oggetto è soltanto un oggetto. Però mi fa sentire meglio'"

Fresco, falsamente ingenuo, forse superficiale, forte, ma dipinto a tratti delicati.
Banana, con questa opera d'esordio, ha dimostrato di essere veramente una rivelazione del sol levante.



Banana Yoshimoto
Kitchen
Universale Economica Feltrinelli

3 Commenti:

  • Ciao. Mi dispiace non scrivere bene, l'italiano non è il mio lenguaggio e lo ho domenticato con il tempo, il fumo -sono di Barcelona-. Io volevo saludar-ti, ragazza con gli occhi di nocciola e le tre esse com'una congregazione di serpente a sonagli.

    Ecco, una cosa, se tu dici "Cigarrettes & Coffee", questo è una cazione di Ottis Redding.

    Ciao signorina!

    Di Blogger rubens comeclavos, scritto alle 17/10/04, 18:18  

  • io pensavo fosse scialpi...

    fanculo

    d.

    Di Anonymous Anonimo, scritto alle 15/12/07, 21:19  

  • Sì, ma attenzione: è una questione d'ordine. Loro prima si fumavano la sigaretta e poi sorseggiavano il caffè, mentre io ho sempre fatto il contrario.

    Di Blogger alesssia, scritto alle 16/12/07, 19:24  

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