sabato 6 novembre 2010


Capitolo Trecentocinquantatreesimo. Idiomi per idioti


Il sabato sera a Torino finisci quasi sempre da Giancarlo. Non perché Giancarlo sia un posto fico, ma perché è un posto passabile e trovare un posto passabile in questa città è già una grande vittoria.

Così anche lo scorso sabato si finisce da Giancarlo. Lo scopo, almeno per gli amici che mi accompagnano, è chiaro: fottere. Non che di solito io mi elevi alla ricerca del grande amore, non nella bolgia di Giancarlo!, ma di certo quel sabato il mio obiettivo era diverso: volevo riprendermi da una ciucca colossale. Ballavo desiderando che l'enorme quantità di vodka che avevo ingurgitato evaporasse nel forno sudato che rappresenta la pista stretta, asfissiante ed appiccicosa.

Se ero in quello stato un po' lo dovevo ai numerosi digestivi inghiottiti nell'inutile speranza di corrodere una lasagna cucinata direttamente con la calce, un po' al cocktail a cui accennavo poco sopra: un mix composto da 3/4 vodka bianca ed 1/4 lemon soda da discount. Anche se, per essere del tutto sincera, un po' di colpa l'aveva anche l'amico D., che a bere quel veleno mi aveva portato ai Cappuccini. Sapeva che se un uomo mi avesse portato in collina mi sarei innamorata e lui mi aveva portato lo stesso, anche senza l'amore, perché tra noi vale anche questo.

Così mi ero trovata nella cornice dei Cappuccini, sotto una pioggia a dirotto e con due bestie in macchina. Io ero leggermente commossa per la situazione e gli amici decisamente arrapati per la serata. Tra una chiacchiera ed un'altra il liquido scendeva, la sbornia saliva e il tempo passava.

Si era quindi finiti da Giancarlo dove io ballavo nella vana speranza che l'alcol scendesse e i miei amici ballavano nella vana speranza che una fica si materializzasse davanti a loro. Insomma: ballavamo senza uno scopo.

Poi l'amico D. incontra un tipo che conosce, me lo presenta. Dall'introduzione capisco solo che è peruviano. Il colpo d'occhio conferma questa affermazione, evidenziando anche un'ubriachezza circa pari alla mia.

L'amico peruviano inizia a parlare spagnolo. Ovvio: è peruviano!
Rispolvero quel poco di spagnolo che conoscevo, per accorgermi che il catalano in certe situazioni non serve a niente. Passo all'inglese, bestemmiando tra me e me. Non capisco perché nell'ultimo periodo ogni volta che conosco qualcuno devo parlare nella lingua d'Albione.

Andiamo avanti in inglese per un tempo indefinito, stimabile tra i dieci ed i sessanta minuti, poi la fatidica domanda:
- Since are you in Italy?
- Since I was 4 years old.

Ma va a fa 'n culo, va!
(Che quindi anche questo lo capisci!)